Parità di genere: è ancora un problema nelle corsie?

da | Mar 7, 2024 | Primo Piano

La professione medica si sta femminilizzando: in Italia 10 anni fa le studentesse nel corso di Medicina e Chirurgia rappresentavano il 55% del totale e gli studenti maschi il 45%. Ad oggi, le ragazze iscritte a Medicina e Chirurgia sono quasi il 60% del totale.

Ma com’è la distribuzione di genere tra i medici ospedalieri del Piemonte? Negli ospedali, le donne rappresentano il 56% del totale dei medici. Rispetto a 10 anni fa le quote di uomini e donne si sono invertite: nel 2013 le donne erano il 48% e gli uomini il 52%.

Le donne sono invece molto meno numerose tra i responsabili di struttura semplice (SS), dove sono il 44% e ancor meno tra i responsabili di struttura complessa (SC, ovvero i primari), dove sono il 24%, meno di 1 su 4.

Va ancora peggio se consideriamo i Direttori Generali: solo 3 dei 18 Direttori Generali piemontesi sono donne.

Andamento in percentuale negli ultimi 10 anni M/F

Dal grafico è evidente come nel corso degli ultimi 10 anni ci sia stato un lento innalzamento della presenza femminile anche nelle posizioni apicali di carriera, ma soprattutto per le Strutture Complesse ci vorranno ancora molti anni per raggiungere la parità di genere.

Se il trend rimanesse costante nei prossimi anni, si stima che per raggiungere la parità di genere (almeno il 50% donne) ci vorranno 7,5 anni nel caso dei SS e 37 anni nel caso dei SC.

Abbiamo poi considerato le discipline in cui è più elevata la presenza femminile.

Come si vede dal grafico le specialità chirurgiche continuano ad essere meno attrattive per le colleghe.

Distribuzione percentuale delle donne nelle specialità mediche (Piemonte 2023)

Per queste discipline sono state calcolate le percentuali di donne tra i responsabili di struttura semplice e complessa.

In Neuropsichiatria infantile e Neonatologia, che sono le discipline in cui in assoluto ci sono più donne medico (quasi il 90% in Neuropsichiatria infantile e quasi l’80% in Neonatologia), le responsabili donne di struttura complessa sono appena una su due.

In Ginecologia e Ostetricia, nonostante le donne medico siano il 63% del totale, le donne responsabili di struttura complessa sono solo il 19% e di struttura semplice il 38%.

In Psichiatria le donne medico sono il 62%, le responsabili di struttura complessa risultano appena il 25%.

Peccato. Perché le donne al vertice potrebbero essere più consapevoli degli ostacoli al lavoro femminile e quindi essere più attive negli ospedali per cercare di rimuoverli. Le primarie donne potrebbero essere più sensibili alla richiesta di part-time, tollerare meglio le assenze per malattia figlio, concedere magnanime il congedo parentale ai padri, chiedere con maggiore insistenza alle amministrazioni la sostituzione per maternità delle colleghe.

Peraltro, incominciano a essere riconosciuti i risultati positivi del diverso modo che le donne hanno di interpretare i ruoli professionali e nello specifico di comando: maggiore empatia, orientamento alla collaborazione e al sostegno reciproco, minore competizione conflittuale, attenzione al risultato e non alla vittoria sui colleghi.

Il 41% dei medici totali svolge libera professione intramuraria. Le donne sono il 33% e gli uomini il 49%. Le donne probabilmente scelgono maggiormente di dedicare il proprio tempo libero alla famiglia.

Infatti, sono più le donne che gli uomini ad avere un contratto di tipo part-time: il 60% è delle donne.

E il problema è che il part-time viene concesso poco e a poche. Inoltre la donna che decide di lavorare in part-time firma, con la richiesta di tempo ridotto, anche la fine della propria progressione di carriera lavorativa.

D’altro canto, alle donne è ancora affidato il ruolo di cura. Dei figli, dei genitori, della famiglia in generale. Persiste una diseguale distribuzione dei carichi di lavoro familiari a svantaggio delle donne. Esistono discriminazioni e diseguaglianze. Secondo la teoria delle piccole differenze, non è indispensabile attuare grandi discriminazioni per produrre grandi disuguaglianze.

Le grandi disuguaglianze possono infatti nascere da comportamenti marginali che creano tanti piccoli svantaggi, che si cumulano nel tempo e fanno per esempio, rallentare la carriera delle donne. La prima sconfitta inoltre le esclude dalla competizione per le posizioni più ambite e le orienta verso percorsi laterali.

La strada è ancora lunga, sicuramente ci servirà un welfare più favorevole, un cambiamento culturale che riconosca le competenze femminili, una migliore distribuzione dei carichi di lavoro familiari ed anche una maggiore consapevolezza di noi donne.

Dott.ssa Chiara Rivetti
Segretaria Regionale Anaao Assomed Piemonte

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