Ogni volta che si citano le carenze di medici in pronto soccorso, che hanno radici lontane ma che con la pandemia sono esplose, il dibattito pubblico arriva sempre al numero chiuso a medicina.

Come se il problema fosse la quantità e non la qualità.

Non è in discussione la qualità delle persone o lo strumento di selezione.

La qualità è quella della formazione (davvero si pensa si possa formare adeguatamente un numero infinito di studenti?) e di quello che si trova dopo.

In Italia non mancano i laureati in Medicina: mancano gli specialisti. Alcune tipologie di specialisti in particolare e soprattutto, sempre più, mancano nel sistema sanitario nazionale.

Ci permettiamo di esportare all’estero i medici italiani (magari i migliori) senza offrire nulla per trattenerli, ci stupiamo che dopo anni di assenza di ascolto, di umiliazioni e a volte proprio di massacro, giovani medici rinuncino alla borsa di studio, pur di non intraprendere il percorso della medicina d’urgenza, che ha perso le attrattive da fiction americana nella realtà dei nostri pronto soccorso, dove oggi le persone rinunciano a contratti a tempo indeterminato perché non ne possono più.

Ci permettiamo di prendere specialisti formati, ed esperti, e riempiamo le loro giornate di inutile burocrazia che va assolta (senza aiuti, quando non con ostacoli) per poter accedere all’esecuzione della propria attività di diagnosi e cura.

E liquidiamo con una alzata di spalle la richiesta di formazione e di coinvolgimento nei processi organizzativi e decisionali.

E allora certo, per continuare a ribadire che siamo tutti sostituibili e che non importa se i medici si licenziano e che non sia mai abbiano richieste economiche (la missione!) togliamo il numero chiuso, ma perché no, facciamo finta che un breve corso sia come una specializzazione dì 5 anni e facciamo andar via quei rompiscatole di specialisti con 20-30 anni dì esperienza. Una sola domanda: voi, poi, da chi vi fareste curare?

Francesca Bianchi
Componente Segreteria Regionale Anaao Assomed Piemonte